"Se hai un problema, mangiatelo”
Max è un bambino agitato e irrequieto, come quasi tutti i bambini attorno ai dieci anni. Si sente incompreso dalla sua famiglia e dopo l’ennesimo scontro con la madre fugge e si rifugia – magicamente – nel Paese delle Creature Selvagge, strani esseri – animali omomorfici – che hanno un disperato bisogno di qualcuno che li guidi e diventi il loro re.
Max sembra essere proprio quello di cui hanno bisogno, un capo che restituisca loro motivazioni e li sappia indirizzare. Tratto dall’omonimo romanzo di Maurice Sendak, se ci fermassimo alla trama, potremmo pensare di trovarci di fronte all’ennesimo film per bambini, con effetti speciali mirabolanti e moralina finale che ti fa fare sonni tranquilli la notte.
Niente di più errato. Perché se affidi alle mani di un regista originale ed alternativo come Spike Jonze, un soggetto a prima vista banale o comunque semplicistico, il risultato è tutt’altro che scontato o prevedibile. E’ quello che è accaduto con "Il Paese delle Creature Selvagge", un film – prodotto da Tom Hanks - che punta a mettere in mostra le difficoltà insite nel mondo dell’infanzia senza zuccherare il discorso o farcirlo con concilianti scenette.
Accompagnato da una colonna sonora da collezione (composta da Karen O e Carter Burwell) Jonze mette in scena dei personaggi la cui analisi meraviglia per acume e profondità. Quelle delle Creature Selvagge sono maschere da tragedia greca, realizzate con il minimo necessario di effetti speciali, quanto basta per metterne in risalto l’espressività, si stagliano sullo sfondo di un’isola selvaggia e misteriosa quanto loro, a rappresentare i più naturali tra i sentimenti e comportamenti: amore, gelosia, invidia, superbia, ignavia, ira.
Difficilmente si sono visti personaggi più terreni e umani come queste creature selvagge dalla testa leoniforme o dal becco adunco, dal viso enorme come una statua dell’Isola di Pasqua o dalle orecchie lunghe e pendenti coma un cocker. Umanissime dunque e come tali difficili da trattare, come presto si accorgerà Max nel tentativo di governarli. Riflessione quindi sulla natura umana ed anche analisi delle estreme difficoltà nascenti nell’ambito dei rapporti sociali e familiari.
Spike Jonze racconta tutto questo, affidandosi all’originalità delle sue inquadrature ed alla significatività di una fotografia che accompagna le fasi psicologiche dell’opera che passa dal blu ghiaccio dell’inizio, al rosso caldo della parte centrale per finire con il verde livido di un finale commovente e senza appello. Sulla spiaggia, lo sguardo triste e sconsolato di Carol (nella versione italiana gli presta la sua voce Pierfrancesco Favino) colpisce al cuore, come tutto il film, peraltro.
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