lunedì 13 aprile 2015

Wegasi Nebiat

 

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Greece Migrants Drown

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Greece Migrants Shipwreck

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….è la foto di Wegasi Nebiat. È la donna dai capelli lunghi che viene soccorsa da un bagnante dopo che il barcone sul quale viaggiava insieme ad altri 100 profughi eritrei si è sbriciolato davanti a una spiaggia dell’isola di Rodi. È la figlia di una tragedia minore, «appena» tre morti. Però visibile nel suo avvenire, filmata nella concitazione dei soccorsi, nella sua disperata volontà di non cedere alle onde.

Adesso sappiamo che ha 24 anni, che viene da Asmara, dove viveva con il padre Johannes, la madre Genet, e un fratello più piccolo. Siccome è la primogenita, il viaggio è toccato a lei. I suoi genitori avevano messo da parte una dote di diecimila dollari per darle la possibilità di cominciare una nuova vita. Dopo una marcia a piedi di quasi cento chilometri lungo il confine sudanese, le sono serviti per acquistare un passaporto falso dai trafficanti, volare in Turchia. E infine salvarsi a stento da una morte atroce a due passi da un bagnasciuga affollato da turisti. Il suo viaggio non è poi diverso da quello di molti altri. La differenza è che l’abbiamo vista, anche solo da spettatori ma abbiamo in qualche modo partecipato al suo dramma.

Per ricordarci che siamo testimoni di una tragedia enorme c’è più bisogno di testimonianze in prima persona che di numeri roboanti senza nome. Le storie servono a questo, una parte per il tutto. Le foto di Wegasi ci aiutano a sentire davvero, rendono possibile immaginare i nostri figli al suo posto. Ci consentono l’immedesimazione. Che poi, a farla breve, significa anche restare umani, o almeno provarci.

da IL CORRIERE.IT

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