Non mi sono mai sentito a mio agio con la definizione direttore della fotografia. Sin dai primi lavori ho sempre sentito il bisogno di esprimere la mia individualità - sia pure in un'opera comune, come è quella cinematografica - ho sempre cercato una definizione diversa. Chi fa questo mestiere è co-autore dell'opera cinematografica, responsabile delle sue ideazioni. Il film è un'opera a più mani realizzata da una serie di co-autori e diretta dall'autore principale, che è il regista. Sono andato all'origine della parola: foto-grafia, letteralmente scrittura con la luce, che è poi, guarda caso, il titolo della collana di libri che sto pubblicando con Electa. Chi fa foto-grafia scrive con la luce la storia del film, come il compositore la scrive con le note, come lo sceneggiatore o lo scrittore la scrive con le parole. Il linguaggio della luce, e quindi di tutti i suoi componenti, ha una sua potenzialità, può esprimere sentimenti, emozioni, esattamente come le note di uno spartito o le battute di una sceneggiatura. Noi siamo dei visionari, deriviamo da una serie di visioni, dalla storia della pittura. Ma se un pittore racconta una storia in un'unica immagine - e anche per la fotografia pura e semplice è così - la cinemato-grafia, ed è questa l'espressione in cui maggiormente mi riconosco, ha invece qualcosa di più: il movimento. Si esprime attraverso un racconto, con un inizio, uno svolgimento e una fine. Quindi scrivere con la luce è raccontare una storia cinemato-grafica attraverso la luce e tutti i suoi componenti….
Storaro
Il Premio Oscar plurimo Vittorio Storaro ripercorre le tappe della sua carriera al Giffoni Film Festival: durante la Masterclass spiega lo studio che l'ha portato a "illuminare" alcuni capolavori della storia del cinema.
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